Quando pensiamo di raccontare una storia in prosa, possiamo essere folgorati da una suggestione, da un’impressione repentina, da un sentimento vissuto in maniera esclusiva o da mille altre ragioni.
L’ispirazione per un buon racconto o per un romanzo, può sorgere all’improvviso e prendere corpo nella nostra mente in modo del tutto inaspettato. Questo accade quando il nostro stato creativo è al top e quindi le parole fluiscono senza interruzioni, la narrazione scorre rapida e incisiva, quasi senza fatica.
Ma alla base di questo risultato c’è quasi sempre un lungo lavoro di preparazione in cui magari abbiamo dedicato molto tempo alla ricerca storica, a leggere libri di altri autori, a provare e riprovare l’abbozzo di una trama, salvo poi accorgerci che non va bene e siamo costretti a ricominciare tutto d’accapo.
Il mestiere di scrivere comporta quasi un ritiro in un mondo immaginifico che spesso non trova riscontro nella realtà. Lo scrittore è in qualche modo costretto a sdoppiarsi, un po’ come fa l’attore quando deve interpretare un determinato ruolo. Egli deve calarsi nella storia che vuole raccontare e nello stesso tempo deve anche vivere nel mondo reale.
Questo ruolo può essere molto complicato da gestore e comportare sacrifici grandissimi. Come può quindi un autore di romanzi conciliare queste due opposte tendenze? La risposta è che non può farlo. Egli deve vivere a mezz’aria, senza la possibilità di toccare mai la terra con i piedi.
Il suo lavoro si prolunga ben oltre le ore che dedica a scrivere. Egli è operativo anche nel sonno, nelle pause per il pranzo o per il caffè, persino quando si rilassa davanti alla televisione o quando va a sbrigare le faccende di casa fuori dalle quattro mura domestiche. E da queste esperienze che sono al di fuori del suo mondo fantasmatico che gli permette di costruire la storia che desidera raccontare, spesso egli trae ispirazione o elementi che gli possono consentire di intrecciare le vicende del suo romanzo.
Può infatti capitare che la narrazione scorra liscia fino ad un certo punto e poi ci si trova ad un punto morto. Non si trovano le parole giuste, lo stile narrativo fa acqua da tutte le parti, i personaggi non sono credibili, il testo è pieno di luoghi comuni che rendono il racconto scontato, mediocre, istituzionale, poco creativo.
Credetemi, capita più spesso di quanto non si pensi. Personalmente ho almeno quattro romanzi iniziati e mai terminati perché non sono riuscito a realizzare la struttura della narrazione in modo efficiente.
Il primo consiglio che mi sento di darvi è il seguente: se iniziate a scrivere un romanzo, non interrompetelo mai prima di aver finito la prima stesura. Se lo farete non riuscirete più a raccapezzarvi. Il rischio è quello di dimenticare il ruolo dei personaggi, le loro interazioni, i luoghi in cui agiscono, ecc.
A questo proposito è molto utile stilare una griglia di argomenti, una scaletta con tabelle specifiche per ogni personaggio, per i luoghi, le epoche, le professioni e ogni altra notizia utile allo sviluppo della narrazione.
Ma ritornando al tema principale di questo capitolo, possono testimoniare che non ci sono formule o ricette fisse per superare certi ostacoli. Tutto ciò che possiamo fare è provare e riprovare, non perderci d’animo, tentare una, due, tre, quattro, mille volte a scrivere qualcosa di credibile.
Ma, anche nell’ipotesi che riusciremo a scrivere almeno la prima stesura del nostro romanzo, non potremo mai giudicare con occhi disincantati il nostro lavoro, perché ne siamo come assuefatti. Il nostro è un gioco di parte che spesso può orientarci verso l’autocompiacimento acritico che non ci fa crescere come scrittori.
Farsi aiutare, magari dando in lettura anche i primi abbozzi del nostro racconto potrebbe essere una magnifica idea.
Una volta terminato il nostro lavoro, potrebbe essere molto utile abbandonarle per un certo periodo la storia che abbiamo scritto, anche per molti mesi e riprenderla in mano dopo averla fatta decantare.
È possibile che vi troviamo più pecche e correzioni da fare del nostro più bravo insegnante di italiano e quindi, in questo caso, l’autocritica obiettiva ci permetterà di operare gli aggiustamenti necessari sia in fatto di stile narrativo che di impostazione grammaticale e ci darà persino modo di rendere più credibili le vicende narrate.